Il Sagrantino di Montefalco di Arnaldo Caprai

“Va’ dove ti porta il Cuore”, diceva Susanna Tamaro.
In quella città dalle mura etrusche e dal centro storico medievale. In quella città caratterizzata da freddi inverni e calde estati, secche e ventilate. In quella città che sorge su morbide colline, ed accarezzata dalle acque dolci del Trasimeno. Nella città del cioccolato e del jazz. Nella città degli artisti e degli stranieri. Degli studenti. Si, come lo ero io. In quella città a volte schiva, ma estremamente accogliente. La mia seconda casa. Forse anche la prima. Quella città che, forse, mi ha fatto avvicinare al meraviglioso mondo del Vino. Parlo di Perugia, capoluogo del “cuore verde d’Italia”, l’Umbria, così come viene definita.
A circa 50 km a sud-est di Perugia sorge Montefalco, un piccolo paese, se vogliamo, con appena 5500 abitanti, ma nel quale è forte la tradizione enologica, e nelle cui terre si produce oggi uno dei vini dell’eccellenza italiana: il Sagrantino di Montefalco (DOCG dal 1992).
Il vino delle grandi ricorrenze religiose, centellinato a fine pasto, nella sua versione passito, così come era vinificato una volta. E se non c’era contadino che trascurasse di impreziosire la propria vigna di quelle uve dai piccolissimi, neri e dolci chicchi, non c’era monastero che non allevasse vecchi vitigni di Sagrantino, a sottolineare la sua sacralità.
E come ogni Vino ha un proprio padre che lo genera e che lo fa diventare “grande”, così il Sagrantino di Montefalco deve il suo nome ad Arnaldo Caprai. Già imprenditore tessile di successo, Caprai acquista nel 1971 quarantacinque ettari a Montefalco e diventa, così, produttore di Vino. Nel 1988 la conduzione aziendale passa, poi, di testimone a Marco Caprai, figlio di Arnaldo, che, ad oggi, continua a portare avanti quella che è – ed è sempre stata – la sua mission aziendale: salvaguardare la qualità, sempre, con una costante e crescente ricerca e sperimentazione a tutela di un territorio, del territorio del quale il Sagrantino di Montefalco ne è l’emblema.
E questo è uno di quei Vini che non può non essere assaggiato. Degustato. Amato. E, a prescindere dal colore di Vino che si ama, questo è un Vino che non può essere scordato. E così, a distanza di anni dalla degustazione del Collepiano Montefalco Sagrantino DOCG 2008, io ancora ne sento i profumi. L’avvolgenza. La seduzione. Un Vino che ho degustato nella stessa annata sia nel 2015 (foto calici) che nel 2018. E se ho trovato ancora leggermente spostato verso le durezze, con un tannino ancora in evoluzione, il sorso del 2015, di assoluto equilibrio è risultato il sorso del 2018. Era assolutamente quello il giusto tempo di attesa per l’annata 2008. (Nel dubbio, però, io la riassaggerei anche quest’anno! 😊 ).
E come quando si parla di un amore, le parole non bastano per descrivere quel naso imponente, ampio – estremamente ampio – di frutta in confettura, amarena, mora, ribes, di elegante e piacevole speziatura che spazia dal pepe nero alla vaniglia, con un finale balsamico che sbalordisce. Una consistenza “che quasi pesa”. Un Vino che quasi si riesce a masticare per la sua grande struttura. Un tannino importante perfettamente integrato e che parla di una giusta evoluzione e del suo giusto momento di degustazione. Quel Vino che ti riscalda nelle fredde giornate invernali con un suo solo sorso, ma al quale non sai resistere nel berne un secondo. Lunga la sua persistenza.
Un Vino che già con quel suo colore quasi granato (degustazione 2018) aveva lasciato intendere che sarebbe stata una degustazione indimenticabile per quel Sagrantino di Montefalco Arnaldo Caprai, un Sagrantino in purezza con 22 mesi di affinamento in barrique di rovere francese e ulteriori 6 in bottiglia, che segna il suo anno di nascita nel 1979, da degustare con un filetto aromatizzato ai chiodi di garofano e bacche di ginepro, con riduzione di Sagrantino e more.